Internet ci ha alienato e reso più stupidi?

È arrivato il momento di chiedersi qual è stata la reale influenza di Internet sull'umanità.

Carmine De Fusco
15 min readMay 6, 2020

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Il ‘900 sarà sicuramente ricordato come il secolo in cui siamo passati dagli atomi ai bit. Passiamo ormai la maggior parte della nostra vita online, con il volto rivolto ad uno schermo ed impermeabili alla realtà che ci circonda. Uno dei primi a porsi la domanda di quali potrebbero essere gli effetti sul nostro stile di vita e sul nostro cervello è stato Nicholas Carr scrittore statunitense che nel 2010, attraverso la pubblicazione del libro intitolato “The Shallows: What the Internet Is Doing to Our Brains” ovvero “I Superficiali: cosa Internet sta facendo al nostro cervello”, ha analizzato come il continuo uso della rete possa modificare il nostro cervello al pari di come lo hanno fatto molte delle rivoluzioni tecnologiche del passato, dall'invenzione della scrittura ai primi orologi meccanici. Il libro nella versione italiana è stato intitolato Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello . Qualche anno dopo, alle riflessioni fatte da Carr, si contrappone il sociologo belga Derrick de Kerckhove che con un piccolo saggio intitolato La rete ci renderà stupidi?cerca di evidenziare come la situazione, non negando comunque il problema, non sia così pessimistica come la si potrebbe immaginare leggendo il libro di Carr. A questo tipo di dibattiti negli anni ha dato un notevole contributo anche il sociologo polacco Zygmunt Bauman analizzando come le relazioni sociali e la società cambino attraverso l’uso dei social network.

Dall’Homo Sapiens all’Homo Digitalis ?

Secondo le ultime ricerche l’Homo Sapiens cammina sul pianeta Terra da circa 350.000 anni. Come esseri umani essendo la specie più intelligente sul pianeta siamo stati in grado di trarre un notevole vantaggio dalle sue risorse (pur non sempre rispettando Madre Natura). Abbiamo avuto un continuo progresso in ambito tecnologico e sociale nel corso dei secoli. Progresso spinto maggiormente dalle scoperte scientifiche grazie alle quali abbiamo affrontato nel corso degli ultimi 400 anni ben 3 rivoluzioni industriali. Alcuni dei fattori trainanti dei vari traguardi ottenuti in ambito scientifico sono stati: l’invenzione della stampa, la riduzione delle distanze con mezzi di trasporto sempre più efficienti a partire dalle prime ferrovie fino ad arrivare al trasporto aereo, la possibilità di trasmettere in maniera istantanea le informazioni su lunghe distanze tramite la radio, la televisione e più di recente grazie ad Internet.

Internet è stata una delle ultime innovazioni tecnologiche sulla scala del tempo ed è ormai evidente come ha cambiato radicalmente il nostro modo di vivere. Insieme ad Internet anche lo sviluppo del calcolatore elettronico divenuto sempre più accessibile fino ad arrivare nel palmo di una mano attraverso gli smartphone è stato di vitale importanza per renderci quella che oggi siamo, ovvero una società digitale. Abbiamo trasformato quasi tutto quello che esiste nel mondo reale in una sua rappresentazione digitale. Si potrebbe quasi dire che abbiamo trasferito nel virtuale la nostra realtà creando una replica di noi stessi e quindi evolvendoci ad una sorta di Homo Digitalis. Sono sempre più frequenti romanzi o film di fantascienza che mostrano come la differenza tra analogico e digitale, la linea di confine tra il mondo degli atomi ed il mondo dei bit possa diventare sempre più difficile da marcare per poter distinguere i due mondi. C’è un interessante episodio chiamato San Jupitero della serie TV nota come Black Mirror in cui si immagina un mondo in cui dopo la morte una riproduzione digitale della mente possa essere caricata all'interno di un mondo virtuale rendendo la “coscienza” dell’individuo immortale. La stessa idea, in forma cinematografica, la si può trovare nel film chiamato Trascendence che rievoca appunto come si possa trascendere dalla nostra forma fisica in cui è imprigionata la nostra coscienza per caricarla in rete e renderla interconnessa in un tutt'uno con le altre coscienze. Chiaramente queste sono solo rappresentazioni fantascientifiche e che potrebbero non trovare mai un riscontro nella realtà, come invece credo sperino i seguaci del Transumanesimo. Tuttavia è opportuno osservare che molte delle tecnologie di oggi sono state considerate fantascienza nel passato. Se si pensa al computer intelligente chiamato HAL 9000, rappresentato nel film “Odissea nello Spazio” di Stanley Kubrick, quel tipo di computer oggi non è molto diverso dagli assistenti virtuali che abbiamo nei nostri PC e smartphone (Siri, Google Now, Cortana) o nelle nostre case (Alexa, Google Home). Nel 1968, anno di pubblicazione del film, una cosa del genere era considerata pura fantascienza e probabilmente irrealizzabile; oggi grazie soprattutto allo sviluppo del machine learning avere dispositivi che si comportano in maniera intelligente è pura realtà.
Pertanto, porsi queste domande, ovvero se mai un giorno potremmo avanzare ad uno stadio evolutivo superiore coadiuvati dalla tecnologia, è più che lecito. Così come è lecito, e ha fatto egregiamente Nicholas Carr nel suo libro, domandarsi se e come il nostro cervello stia cambiando attraverso l’utilizzo sempre più massivo di Internet.

I tuttologi del web
Tutti tuttologi col web…canta Francesco Gabbani in Occidentali’s Karma, brano che ha vinto il Festival di Sanremo nel 2017.
Come si diventa tuttologi grazie al web?. Oggi i risultati che ci dà un motore di ricerca ci bombardano di informazioni. Saltellando da un link ad un altro dobbiamo essere bravi a ricostruire un mosaico fatto da tanti piccoli pezzettini di informazione. Purtroppo non è detto che tutti siano in grado di farlo, ovvero non è detto che tutti siano in grado di gestire una mole così grande di dati. Per non parlare poi delle fonti di informazione non autorevoli e che propinano fake news le quali non tutti sono capaci di riconoscere. Paradossalmente se in passato uno dei grandi problemi era la mancanza di conoscenza oggi si potrebbe avere il problema opposto dovuto ad un eccesso di conoscenza che difficilmente siamo in grado di assimilare, specialmente se la ricerca è superficiale ed il tempo dedicato ad essa sul web è poco. Spesso viene fatta una ricerca veloce e spasmodica che non ha il fine di apprendere in profondità un argomento, ma di navigare in superficie apprendendo quel minimo che riusciamo ad apprendere dandoci però l’illusione di aver assimilato quell'argomento in maniera corretta. Questo modus operandi è alquanto controproducente e porta a far sentire competenti persone che non lo sono affatto. A conferma di quanto detto è opportuno citare l’Effetto Dunning-Kruger che descrive bene come gli individui siano soggetti ad una distorsione cognitiva.

fonte: https://www.artandtechnology.com.au/cartoons/Dunning-Kruger.jpg

La curva con la quale viene descritto questo fenomeno mostra come gli individui che conoscono poco un argomento, ovvero che lo studiano da poco tempo o in maniera superficiale, tendono a sopravvalutare il loro sapere avendo la percezione di conoscerlo a fondo. Di contro gli individui che iniziano ad approfondire un argomento tendono ad avere la percezione di non saperne mai abbastanza e quindi a sottovalutarsi.
Questo effetto fa sì che un incompetente si senta più competente di chi competente lo è davvero. Pare ovvio quindi che questo è uno dei motivi per cui molti internauti che fanno una ricerca superficiale sul web poi si arranchino il diritto di essere considerati autorevoli e onniscienti.

La difficoltà di apprendimento e di concentrazione
Abbiamo visto come i motori di ricerca alimentino la percezione di sapere un argomento sebbene questo in realtà non si padroneggi. Tuttavia è evidente che, nel bene o nel male, i motori di ricerca sono delle vere e proprie fonti del sapere. Oggi l’Iperuranio di Platone potrebbe essere paragonato ai motori di ricerca come Google. Potremmo quasi dire che sono diventati una sorta di Iperuranio del sapere. È automatico pensare che appena ci serve un’informazione, soprattutto se in maniera istantanea, possiamo sempre andare su Google o altro motore di ricerca e ottenere la risposta alle nostre domande. La domanda da porre è se, in questo modo, la nostra capacità di ricordare e immagazzinare informazioni si riduca in maniera notevole rendendoci quindi più stupidi. Questo potrebbe essere un danno collaterale non indifferente e che nel tempo vada a degradare in maniera irreversibile la nostra capacità di apprendimento e concentrazione.

Nicholas Carr nel suo libro affronta molto in dettaglio la questione anche dal punto di vista neurologico, citando molte ricerche scientifiche fatte da università e studiosi autorevoli. In più parti del suo libro si può leggere come egli faccia delle riflessioni davvero interessanti. In particolare, estraendo le parti che a mio avviso sono le più salienti, si può leggere il seguente:

Negli ultimi cinque secoli, da quando la stampa di Gutenberg ha reso popolare la lettura, la mente lineare, letteraria è stata il fulcro della nostra società, dell’arte e della scienza. Duttile e penetrante, è stata la mente ricca di immaginazione del Rinascimento e la mente asettica e razionale dell’Illuminismo, la mente piena d’inventiva della Rivoluzione industriale e anche la mente sovversiva dell’epoca moderna. Presto potrebbe diventare qualcosa che appartiene soltanto al passato.[…] Mi accorsi che la rete esercitava su di me un’influenza molto maggiore rispetto a quanto non facesse il mio vecchio computer privo di connessioni. […] È stato allora che ho cominciato a preoccuparmi della mia incapacità di prestare attenzione a un’unica cosa per più di due minuti. […] Mi accorsi che il mio cervello non stava semplicemente andando alla deriva. Era affamato. Chiedeva di essere alimentato nel modo in cui la Rete lo alimentava, e più veniva alimentato più aveva fame. Anche quando ero lontano dal computer, bramavo di controllare le e-mail, di cliccare sui link, di usare Google. Volevo essere “connesso”.

Combinando tipi molto diversi di informazioni su un unico schermo, la Rete multimediale spezzetta il contenuto e interrompe la concentrazione. Una singola pagina Web può contenere brani di testo, video, audio, un insieme di strumenti per la navigazione, pubblicità varie e molti piccoli applicativi software o widget che girano nelle loro specifiche finestre. Tutti sappiamo quanto possa distrarre questa cacofonia di stimoli. […] Un messaggio di posta elettronica si annuncia mentre diamo un’occhiata alle ultime notizie nel sito di un giornale online. […] Un momento dopo, il cellulare pigola per segnalare l’arrivo di un nuovo messaggio di testo. Simultaneamente, la finestra di avvertimento di Facebook e Twitter lampeggia sullo schermo. Oltre a tutto ciò che fluisce attraverso la Rete abbiamo accesso immediato agli altri programmi che girano sul computer; anch'essi lottano per conquistare un pezzo della nostra mente. Ogni volta che accendiamo il computer, ci tuffiamo in un “ecosistema di tecnologie dell’interruzione” […]. Anche se Internet rappresenta un radicale allontanamento dai media tradizionali per molti aspetti, si inserisce però in una linea di continuità con le tendenze intellettuali e sociali che derivano dall'avvento dei media elettrici del XX secolo e che, da allora, hanno modellato le nostre vite e i nostri pensieri. È da tempo che siamo immersi nelle distrazioni, ma non c’è mai stato un medium come la Rete, programmato per disperdere la nostra attenzione e per farlo con tanta insistenza.

L’interfaccia a finestre è propria di ogni PC e di molti altri strumenti informatici. Sulla Rete si trovano finestre dentro altre finestre a loro volta dentro altre finestre, per non parlare delle lunghe serie di piccole icone che portano all'apertura di ulteriori finestre. Il multitasking è diventato così comune che la maggior parte di noi troverebbe insopportabile dover tornare a computer in grado di gestire un solo programma o aprire un solo file alla volta. […] Navigare nel web richiede una forma di multitasking mentale particolarmente intenso. […] Numerosi studi hanno dimostrato che anche il semplice spostarsi tra due attività può aumentare significativamente il carico cognitivo ostacolando il pensiero e aumentando la probabilità che ci sfuggano o vengano fraintese informazioni importanti. […] Vista la plasticità del cervello, sappiamo che le nostre abitudini online continuano ad avere ripercussioni sul funzionamento delle sinapsi anche quando non siamo connessi. Possiamo quindi presumere che i circuiti utilizzati per la scansione veloce, la scrematura e il multitasking si stiano ampliando e rafforzando, mentre quelli dedicati alla lettura e alla riflessione approfondita (con un’intensa concentrazione) si stiano indebolendo o consumando.

L’introduzione, nel secolo scorso, di nuovi media per l’archiviazione e la registrazione ampliò significativamente la portata e la disponibilità della “memoria artificiale”. Affidare l’informazione alla mente individuale di ognuno sembrava sempre meno essenziale. L’avvento di Internet, con le sue banche dati sconfinate e facilmente consultabili, portò a un ulteriore cambiamento nel modo in cui consideriamo non soltanto la memorizzazione ma la memoria stessa. La Rete ben presto cominciò a essere vista come una sostituzione, e non soltanto un’integrazione, della memoria personale. Oggi la gente parla normalmente della memoria artificiale come se fosse indistinguibile da quella biologica.

È difficile resistere alle seduzioni della tecnologia, e nella nostra epoca dell’informazione istantanea i benefici della velocità e dell’efficienza non sono nemmeno in discussione. Ma io continuo a sperare che non ci lasceremo spingere senza alcuna resistenza nel futuro che gli ingegneri elettronici e gli informatici stanno progettando per noi.

Seguendo alcuni di questi temi, come già accennato, il sociologo Derrick de Kerckhove ha racchiuso le sue riflessioni nel breve saggio “La rete ci rende stupidi?”. È bene precisare che il libro di Carr prende la forma di un vero e proprio saggio scientifico in cui vengono citate molte fonti autorevoli, sebbene non manchino, giustamente, riflessioni personali dell’autore. Il piccolo saggio di de Kerchove invece, sebbene in qualche punto citi anche lui degli esperimenti scientifici, ha una visione molto più soggettiva. Detto questo, come già accennato, la visione di de Kerchove mi ha comunque incuriosito in quanto abbastanza ottimista tanto da dissentire in più punti con la visione di Carr. Secondo de Kerchove, Google non ci rende stupidi e anzi nell'era dei big data è più conveniente imparare a fare bene le domande (ai motori di ricerca) che a dare le risposte giuste. In un passaggio del suo saggio de Kerckhove cerca di analizzare come questo nuovo modo di leggere e informasi tramite contenuti ipertestuali non sia per forza un male ma anzi potrebbe portarci ad una nuova forma di intelligenza. Tale asserzione viene posta utilizzando le seguenti parole:

I cambiamenti epocali portano sempre con sé qualche problema (le guerre di religione, per esempio, o l’invenzione della stampa), ma si tratta di problemi che sono sempre stati superati, e sono convinto che anche in questo caso avverrà. Come lo scrittore non può leggere senza scrivere, e non può scrivere senza leggere, lo stesso processo avverrà anche con i nuovi strumenti. Ora che abitiamo nel mondo elettronico questa dimensione scritta non può fare altro che rovesciarsi e tutti i contenuti non possono fare altro che rimescolarsi, più o meno volontariamente.
È proprio la visione di questo tipo di rovesciamento, dal mio punto di vista, ciò che manca a Nicholas Carr. Concordo con la sua idea che oggi “si legga male”, e tuttavia penso anche che i lettori odierni siano grandi editori: sono capaci, cioè, di leggere come in un montaggio cinematografico, di acquisire le immagini con un approccio ipertestuale e di metterle insieme, utilizzando fenomenali potenzialità intellettive.
Oggi, inoltre, si sviluppa più la creatività che la memoria classica: i ragazzi di oggi sono inventori permanenti.
L’intelligenza ipertestuale è la capacità di conoscere le cose velocemente, quando servono; è un pensiero che condivide la conoscenza globale di Internet attraverso uno schermo,[…].

È doveroso ricordare che de Kerchove è uno dei sociologi che ha contribuito con vari studi ad approfondire il concetto di “Intelligenza Connettiva” che richiama un concetto più generale di “Intelligenza Collettiva” sviluppato dal filosofo francese Pierre Lévy. Mi sembra alquanto ovvio che tali riflessioni siano frutto dei suoi studi. Pertanto se si vuole approfondire questa visione consiglio il suo libro pubblicato nel 1997 e intitolato “L’intelligenza Connettiva, l’avvento della Web Society”.

Le relazioni sociali e la Privacy
Qualcuno dice che le reti sociali virtuali hanno peggiorato la società. Io personalmente, come già scritto in altri articoli, credo che le reti sociali virtuali, i cosiddetti social network, non abbiano peggiorato la società ma abbiamo mostrato com'è realmente. È uno strumento che usiamo per farci vedere come desideriamo che gli altri ci vedano, nascondendo i nostri difetti ed esaltando i nostri presunti pregi. Mostriamo continuamente una nostra versione digitale, un avatar, che non siamo noi ma la proiezione di quello che vorremmo essere. Abbiamo creato una società di maschere che basa il proprio successo sull'apparenza.

L’uomo per natura cerca di socializzare e creare una rete di relazioni, da sempre l’uomo si circonda di amici e familiari. Da questo punto di vista i social network non hanno fatto nient’altro che permetterci di potenziare al massimo questo nostro desiderio di essere connessi con gli altri. Ci hanno dato modo di non sentirci mai soli anche se a migliaia di chilometri di distanza da chiunque nel mondo.
L'esperto di antropologia evoluzionistica Robin Dunbar ha effettuato delle ricerche per capire se ci sono delle limitazioni intrinseche nell'essere umano che danno una misura quantitativa delle relazioni stabili che ognuno di noi può potenzialmente mantenere. Dunbar ha trovato un limite superiore (teorico) che prende il nome di Numero di Dunbar e che corrisponde a circa 150. Secondo Dunbar abbiamo ereditato tale limitazione dai nostri antenati preistorici. Possiamo vederla come una soglia imposta dalla nostra evoluzione biologica. È chiaro che se si pensa al numero di amicizie virtuali che abbiamo attraverso i nostri profili social non è difficile arrivare ad un valore che mediamente si aggira tra i 1500 ed i 3000 amici; oltre 10 volte la soglia teorizzata da Dunbar. Tuttavia la riflessione che c’è da fare è proprio sul concetto di “amicizia” nell'ambito della vita virtuale. Quanti dei nostri amici virtuali conosciamo realmente?. Con quanti abbiamo mai parlato anche solo via chat?. Quanti di questi paradossalmente abbiamo anche dimenticato di averli tra gli amici?. Se ci pensiamo bene, rispondendo a queste domande, ci rendiamo conto che probabilmente tra le nostre amicizie virtuali quelle che possiamo considerare amicizie nel vero senso della parola sono molto al di sotto di 150, probabilmente intorno a un 50, ovvero l’1/3 della soglia imposta da Dunbar. Pertanto, riflettendoci, questa soglia sembra essere abbastanza verosimile, ancora di più se pensiamo alle amicizie del mondo reale.

Sono molti i sociologi che si pongono il problema di come le nuove generazioni possano reagire a questa perdita di interattività fisica con un numero crescente di relazioni virtuali che elude il contatto fisico e visuale. La paura è che si perda la capacità di relazionarsi con gli altri in contesti reali e non virtuali.
Gli studi di Dunbar vengono citati anche in un interessante libro intitolato “Sesto potere: La sorveglianza nella modernità liquida” e scritto a quattro mani da due sociologi di fama internazionale: David Lyon e Zygmut Baumann. In questo libro i due autori hanno riportato delle conversazioni private avvenute via email tra settembre e novembre del 2011. Le riflessioni poste dai due autori toccano varie tematiche che vanno dalla tutela della privacy all'influenza dei social network sulla società. Nella fattispecie ho deciso di riportare varie riflessioni (fatte in particolare da Baumann) che evidenziano e ricalcano l’importanza del concetto di privacy e del discernere tra l’online e l’offline, tra il virtuale ed il reale:

Siamo noi, per nostra volontà, a mandare al massacro il nostro diritto alla privacy. O forse acconsentiamo a perdere la privacy perché lo consideriamo un prezzo ragionevole da pagare in cambio delle meraviglie che ci vengono offerte. […] Ormai tutto ciò che è privato avviene potenzialmente in pubblico, è potenzialmente disponibile al pubblico consumo e tale resta per tutto il tempo, fino alla fine dei tempi, poiché è impossibile “far dimenticare” a Internet qualcosa una volta che è stato registrato in uno dei suoi innumerevoli server. […] La nostra vita (e ancor più quella delle giovani generazioni) è scissa tra due universi, online e offline, e irrimediabilmente bipolare. Poiché ognuno di questi due universi ha un proprio contenuto concreto e proprie regole procedurali, quando passiamo da una parte all'altra tendiamo a utilizzare lo stesso materiale linguistico, senza renderci conto del cambiamento di campo semantico che avviene ogni volta che varchiamo il confine. Perciò non c’è modo di evitare una compenetrazione tra quegli universi.

Il punto cardine di queste riflessioni è il capire dove ci sta portando l’alienazione nell'uso di Internet e dei social network. La domanda di fondo è se l’alienarci in questo mondo virtuale di cui ormai non possiamo più fare a meno non ci abbia fatto perdere la concezione della realtà e la tutela di un nostro fondamentale diritto, ovvero il diritto alla nostra privacy.

E se “spegnessimo” Internet?

Analizzando quello che accade e guardando a dove stiamo andando sembrerebbe quasi sicuro ed evidente il fatto che la realtà (il mondo fatto di atomi) e il virtuale (il mondo fatto di bit) saranno talmente indistinguibili che si fonderanno in un’unica entità. Al giorno d’oggi tra fake news, deep fake, fake identity, ologrammi, realtà aumentata e virtuale, è già sempre più difficile capire dove inizia la realtà, la verità, e dove la finzione. In futuro sarà altrettanto difficile capire dove finisce la vita virtuale e dove inizia quella reale. Attualmente si potrebbe quasi dire che realtà e virtuale si contagino in maniera reciproca. Una sorta di legge causa ed effetto ciclica: quello che accade nella realtà influenza il mondo virtuale e viceversa.
Cosa accadrebbe se cercassimo di frenare ed annullare tutto questo spegnendo Internet?. Siamo sicuri che sia un bene per la società dato che oggi dipendiamo completamente dalla Rete? Sarebbe un po’ come tornare indietro di oltre 40 anni. E cosa accadrebbe se iniziassimo a privarci dei calcolatori elettronici, dei mezzi di comunicazione, dell’energia elettrica e dei mezzi di trasporto?. È ovvio che piomberemmo in una società preindustriale. Sarebbe come premere una sorta di tasto annulla che andrebbe ad eliminare tutti i progressi scientifici, sociali e tecnologici fatti dall'umanità negli ultimi secoli. La cosa più paradossale è che in termini pratici ci troveremmo ancora meno “evoluti” dei nostri antenati che vivevano in quell'epoca. Grazie alle rivoluzioni industriali molte capacità (specialmente pratiche) che i nostri antenati avevano sono diventate obsolete. Attraverso una macchina del tempo che ci catapulti in una società preindustriale, saremmo costretti ad imparare di nuovo qualcosa che per noi era diventato superfluo. Il supporto delle varie tecnologie che abbiamo sviluppato negli anni ci ha permesso di automatizzare e semplificare tantissime attività manuali. Senza contare poi tutti i comfort a cui dovremmo rinunciare, credo proprio che questo processo che abbiamo innescato qualche secolo fa sia ormai irreversibile in quanto a nessuno verrebbe in mente di tornare indietro rinunciando a quello che abbiamo ottenuto negli ultimi secoli.

Conclusione

Sebbene personalmente sia tendenzialmente più in linea con la visione di Nicholas Carr pur non abbracciandola completamente, credo che la nostra generazione non risponderà mai alla domanda: Internet ci ha resi più stupidi?.
D’altro canto sono sicuro che la nostra generazione sarà quella più studiata tra gli storici, scienziati e sociologi dei prossimi decenni i quali magari potranno evidenziare come negli anni seppur perdendo determinate qualità caratterizzanti che abbiamo ereditato dai nostri antenati, ne abbiamo acquisite altre altrettanto formidabili. Dovremo aspettare qualche decennio, ma prima o poi qualcuno darà questa risposta al posto nostro.

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Carmine De Fusco
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Written by Carmine De Fusco

Computer Scientist in general, Software Engineer in detail, Visionary for someone. Contact me here: cardefusco (at) gmail (dot) com

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